L’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato si esprime sulla responsabilità dell’Amministrazione per il ritardo nella conclusione del procedimento che trae la sua genesi da un’istanza autorizzativa.
Il supremo organo della Giustizia Amministrativa chiarisce sin da subito che la responsabilità in cui incorre l’Amministrazione per l’esercizio delle sue funzioni pubbliche sia inquadrabile nella responsabilità da fatto illecito, sia pure con gli inevitabili adattamenti richiesti dalla sua collocazione ordinamentale nei rapporti intersoggettivi, quale risultante dall’evoluzione storico-istituzionale e di diritto positivo che la ha caratterizzata.
Il Collegio, nel motivare tale assunto, chiarisce che la responsabilità da inadempimento si fonda, ai sensi dell’art. 1218 cod. civ., sul non esatto adempimento della «prestazione» cui il debitore è obbligato in base al contratto. Dunque, un vincolo obbligatorio di analoga portata non può essere configurato per la pubblica Amministrazione che agisce nell’esercizio delle sue funzioni amministrative e quindi nel perseguimento dell’interesse pubblico definito dalla norma attributiva, che fonda la causa giuridica del potere autoritativo.
Viene inoltre chiarito che la relazione che si instaura tra il privato e l’Amministrazione è caratterizzata da due situazioni soggettive entrambe attive, l’interesse legittimo del privato e il potere dell’Amministrazione nell’esercizio della sua funzione. In quest’ultimo caso, può ritenersi sussistente non già un obbligo giuridico in capo all’Amministrazione, rapportabile a quello che caratterizza le relazioni giuridiche regolate dal diritto privato, bensì un potere attribuito dalla legge, che va esercitato in conformità alla stessa e ai canoni di corretto uso del potere individuati dalla giurisprudenza.
Il Collegio ribadisce la centralità dell’elemento dell’ingiustizia del danno che rimarrebbe comunque da dimostrare in giudizio: il risarcimento potrà essere riconosciuto se l’esercizio illegittimo del potere amministrativo abbia leso un bene della vita del privato, che quest’ultimo avrebbe avuto titolo per mantenere o ottenere, secondo la dicotomia interessi legittimi oppositivi e pretensivi.
La Plenaria sostiene che depongono nel senso della responsabilità per fatto illecito, anche indici normativi di precisa portata testuale: i commi 2 e 4 dell’art. 30 cod. proc. amm. e l’art. 2-bis, comma 1, della legge n. 241 del 1990.
Da ultimo nella sentenza n. 7/2021 dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, viene formulato il seguente principio di diritto:
“la responsabilità della pubblica amministrazione per lesione di interessi legittimi, sia da illegittimità provvedimentale sia da inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento, ha natura di responsabilità da fatto illecito aquiliano e non già di responsabilità da inadempimento contrattuale; è pertanto necessario accertare che vi sia stata la lesione di un bene della vita, mentre per la quantificazione delle conseguenze risarcibili si applicano, in virtù dell’art. 2056 cod. civ. –da ritenere espressione di un principio generale dell’ordinamento- i criteri limitativi della consequenzialità immediata e diretta e dell’evitabilità con l’ordinaria diligenza del danneggiato, di cui agli artt. 1223 e 1227 cod. civ.; e non anche il criterio della prevedibilità del danno previsto dall’art. 1225 cod. civ.; […]”
Dott. Andrea Tarsi